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Se domattina, d’improvviso, l’Italia fosse senza i suoi 1.416.847 imprenditori artigiani ?

L’impatto sulla popolazione sarebbe, tutto sommato, abbastanza contenuto: il 2,4% in meno.

Ma gli effetti sarebbero quelli di uno tsunami sull’economia e sulle condizioni di benessere di cittadini e famiglie.

Il valore aggiunto in Italia diminuirebbe dell’11,9% – peggio dell’effetto delle due recessioni 2008-2009 e 2012-2013; il ‘buco di Pil’ sarebbe equivalente a quanto prodotto dalle economie di Veneto e Trentino Alto Adige messe insieme.

Il numero dei disoccupati aumenterebbe del 47,3%, e il tasso di disoccupazione passerebbe dal 12,0% al 18,8%

Il made in Italy perderebbe un apporto del 9,1%, equivalente alle esportazioni di Toscana e Umbria messe insieme.

Rimarrebbero 23.681.000 proprietari di immobili senza artigiani dell’edilizia e dell’installazione di impianti che costruiscono e intervengano per la manutenzione.

In Italia rimarrebbero inanimati 1.054 impianti ad energia eolica e 478.331 impianti fotovoltaici senza una adeguata installazione e manutenzione di artigiani della filiera delle rinnovabili.
Nei magazzini delle imprese di produzione e alle porte di negozi ed uffici rimarrebbero 1,2 miliardi di tonnellate di merci che non verrebbero più gestite dalle imprese artigiane di autotrasporto.

Vi sarebbero 19.391.000 famiglie che possiedono almeno un’automobile e, nel complesso, un parco di 43,5 milioni di veicoli circolanti senza autoriparatori artigiani a cui rivolgersi per manutenzione e assistenza; ogni giorno aumenterebbe la presenza di motocicli, autovetture ed autobus fermi per strada.

Nel nostro Paese rimarrebbero 23.573.000 di famiglie che possiedono una lavatrice, 15.293.000 famiglie che possiedono un lettore dvd senza artigiani riparatori di elettrodomestici in caso di malfunzionamento degli apparecchi.

Nessuna possibilità di manutenzione per le 7.950.000 famiglie che possiedono condizionatori e climatizzatori.

Sono 13.617.000 le famiglie che non trovano più le botteghe aperte per la riparazioni delle biciclette e sostituzione di pezzi di ricambio.

E 14.213.000 famiglie che possiedono Personal computer rimarrebbero senza la possibilità di utilizzare le competenze degli artigiani dell’informatica per installazioni, manutenzioni e cablaggi.

Sono 8.813.000 le famiglie che possiedono una antenna parabolica; per i rimanenti 15.376.000 di famiglie non sarebbe più possibile accedere a canali satellitari senza gli installatori di antenne artigiani.

Gli 404.394 sposi nei matrimoni in un anno non potrebbero indossare un abito nuziale realizzato e provato in una sartoria artigiana; nessun fotografo professionista alla cerimonia, un banchetto senza il dolce nuziale di una pasticceria artigiana specializzata.

Un disastro della qualità per i 27.547.000 italiani che mangiano dolci almeno qualche volta alla settimana e che vedrebbero sparire pasticcerie, cioccolaterie e gelaterie artigiane.

Per i 15.364.000 italiani che non pranzano in casa nessun panificio o rosticceria con prodotti artigianali a disposizione.

Per i 59 milioni di italiani che rimangono, dopo la sparizione degli artigiani, sarà ancora possibile, vestirsi, arredare la casa e fare un regalo ma sparirà la qualità e la perizia degli artigiani, ad esempio, negli articoli di abbigliamento, in pelle e pellicce, nei prodotti in legno e nei mobili, nell’oreficeria, nel vetro e nella ceramica.

Non rimarrebbe nessun acconciatore ed estetista per i 31.213.168 di donne di 15 ed oltre.
I 102,9 milioni di visitatori di beni culturali in Italia non potrebbero apprezzare alcun restauro realizzato da artigiani specializzati di 914 monumenti e delle opere contenute in 3609 musei e 237 aree archeologiche.

Una débâcle anche per il turismo: per 100 milioni di arrivi turistici mancherebbe la possibilità utilizzare servizi indispensabili per il soggiorno e di accedere alla qualità dei prodotti dell’artigianato.

Questa storia che abbiamo inventato potrebbe, in fondo, avrebbe un lieto fine.

Gli artigiani insegnano un lavoro: la formazione ‘sul campo’ fatta dagli artigiani ai neoassunti vale 2,6 miliardi di euro all’anno, pari all’1,5% del valore aggiunto prodotto dall’artigianato; in un anno nell’artigianato sono impiegate in training on the job 95.173.864 ore.

Da questo semina quotidiana svolta nelle aziende l’artigianato potrebbe risorgere grazie ai 1.455.797 dipendenti delle imprese artigiane che diventerebbero, a loro volta imprenditori artigiani, sempre che la burocrazia e la documentata scarsa efficienza dei servizi della Pubblica Amministrazione non uccida questo rinascimento dell’artigianato: tra 34 Paesi avanzato l’Italia è al 31° posto per contesto favorevole a fare impresa secondo la graduatoria della Banca Mondiale Doing Business 2014; tra tutti i 189 Paesi nel mondo l’Italia si posiziona al 65° posto.all’8° posto per entrate fiscali sul Pil, saliamo al 7° posto per spesa pubblica sul Pil e, addirittura, primeggiamo collocandoci al 3° posto per crescita delle entrate fiscali tra il 2005 e il 2013.

Se si volatizzassero i 4.347.339 piccoli imprenditori – in imprese con meno di 50 addetti – l’economia italiana diventerebbe un vero e proprio deserto: l’impatto sulla popolazione sarebbe del -7,3%, ma il valore aggiunto generato dalle imprese in Italia si dimezzerebbe (-52%); il ‘buco di Pil’ sarebbe equivalente a poco meno (94,3%) di quanto prodotto dalle imprese dell’intero Nord Italia.

Il numero dei disoccupati triplicherebbe e il tasso di disoccupazione passerebbe dal 12,0% al 43%. Il made in Italy perderebbe solo di apporto diretto – senza contare quanto prodotto in subfornitura per medie e grandi imprese – un valore equivalente alle esportazioni dell’intero Triveneto e cioè Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige.